Loading ...

08 giugno 2023 | interviste

“Ciciarem un cicinin” con Germano Lanzoni: l’attore del collettivo milanese imbruttito

germano_lanzoni.jpeg

Ciciarem un cicinin, è il titolo in dialetto milanese di una storica trasmissione radiofonica degli anni ‘50 e ‘60 in onda dalla Rai di Milano; il significato è “chiacchieriamo un pochettino”. Se poi la chiacchierata è con Germano Lanzoni, la milanesità è garantita (parola di una calabrese).

Quattro anni fa il primo incontro con Germano, favorito dalla “Confraternita della cassoeulala cui sede è presso una storica trattoria milanese. Qui alcuni simpatici matti (io inclusa) si ritrovano, insieme ad amici e personaggi dello spettacolo non necessariamente milanesi, per celebrare la tradizione culinaria milanese di cui la cassoeula è un simbolo. Quella sera durante la cena lui ci intratteneva con la sua formidabile e pungente ironia. 

Di recente ci siamo rivisti per motivi professionali e ho chiesto a Germano di fare una chiacchierata per il mio blog. Lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e per la sua generosità.

 

Germano la cassoeula ci ha fatto incontrare e quella sera è stata molto divertente anche se ho avuto bisogno del traduttore simultaneo… Con “il milanese imbruttito” hai creato una moderna “maschera”, da dove nasce questa idea?

 

Fammi dire innanzitutto che la cassoeula è un piatto tipico della mia città che racchiude il passato, il presente e per alcuni Templari anche il futuro. Il cibo è un forte elemento di aggregazione e aiuta a costruire bellissime amicizie. 

Da dove nasce l’idea della maschera del “Milanese imbruttito”?

In verità io non sono il creatore, ma solo l’attore. Tutto nasce da tre ragazzi (Marco, Tommaso e Federico) che prima del 2013 si trasferiscono a Milano per studiare e si rendono conto che noi milanesi “parliamo un po’ strano”; cosa falsa perché è il resto d’Italia che parla strano. Questi ragazzi erano fan del “Terzo Segreto di Satira” - cinque amici formati alla “Civica Scuola del Cinema” di Milano che si dilettavano a raccontare la politica attraverso gli elettori (le persone al supermercato, al lavoro ecc) - e per pura coincidenza vedono in un video il loro portinaio (il mitico Tony) al quale si rivolgono. 

Sapevano inoltre che questi del Terzo Segreto producevano video con attori veri e chiedono al gruppo di dare un volto al loro profilo social che aveva già un certo successo. Il destino volle che tra gli attori del Terzo Segreto di Satira che erano sei (di cui solo tre eravamo milanesi) io rappresentassi il target ideale: 45-50 anni chiamato a interpretare un uomo che ha fatto un po’ di “grano”, un po’ bauscia ma non troppo, con percezione di avere successo e, soprattutto, che lavorava sul linguaggio per dare carattere al personaggio. Quindi scelgono me. Come lavoro su questo personaggio?

Nel milanese imbruttito io entro in gioco tra la sceneggiatura e il set dando lo slang, il tone of voice, l’intercalare autoctono e un po' di improvvisazione. Il montatore valuta il mio lavoro e sistema il tutto per creare ritmo, poi passa all’editore e al cliente per la valutazione finale. Ma se c’è ritmo il divertimento è assicurato.

 

In realtà tu fai tante altre cose, sei un artista poliedrico. Di recente sei stato il protagonista di un film, fai spettacoli, hai realizzato un disco e gestisci molti eventi di diversa natura. Hai inoltre il tuo show su Prime Video e stai pensando di scrivere un altro libro. Ti va di darci qualche anticipazione sul tuo lavoro? Così magari…”il fatturato – taaaac - aumenta…” 

 

È incredibile come la visibilità ti dia maggiore credibilità perché diventa molto più semplice veicolare i tuoi progetti. Voglio subito dire una cosa: tutto quello che mi viene proposto io cerco di realizzarlo e anche le cose che non ho mai fatto, se ho tempo, le faccio. Non mi piace lasciare indietro nulla. 

In particolare, mi intriga molto la riflessione sulla scrittura. Per cominciare, la scrittura mi aiuta a focalizzare l’attenzione sull’urgenza. Sono tendenzialmente un pigro e tendo a rinviare, ma per scrivere un libro devi rispettare i tempi che ti dà l’editore e magari anche quelli del partner con il quale lo stai elaborando. Diverso è scrivere per sé, fare i copioni, scrivere i testi che poi recito: qui i tempi sono i tuoi e forse dell’impresario. Quindi ringrazio chi mi dà la possibilità di scrivere libri. 

Per il futuro ti do una anticipazione, che sappiamo solo noi…

Sto riflettendo su un libro autobiografico, più intimo, che si leghi al mio percorso professionale che sai essere pieno di cose diverse. Un libro che per me è una grande sfida, perché narra di un personaggio un po' giullare e (ma questo è un segreto) vorrei accompagnarlo con un podcast sui giullari, sui saltimbanchi dei mercati di Venezia che erano personaggi pazzeschi: saltavano sui banchi del mercato del pesce di Venezia, inventavano un linguaggio, creavano interazioni con i clienti, creavano ingaggio con finalità anche commerciale. 

Oggi il saltimbanco è il comico-giullare, il performer per definizione. Quindi mi piace l’idea di raccontare una storia che racconti il mondo, una proiezione del mondo attuale nel mondo futuro attivata attraverso il mondo passato.  

Quindi oltre al testo teatrale che sto scrivendo, ho progetti editoriali che spero di realizzare presto perché la scrittura a me piace davvero tanto.
 

Oltre a tutto questo, hai anche un impegno sociale molto importante grazie al quale riesci a dare un contributo significativo in situazioni talvolta molto difficili. Come riesce un attore teatrale e comico a coniugare questo impegno?
 

Io faccio il comico e mi reputo fortunato, per cui avverto la necessità di restituire alle persone (concetto di give back) attraverso ciò che dico e che racconto ed è una parte di quello che il teatro mi ha dato.

Non è solo la beneficienza in senso stretto. Incontrare le persone e fare in modo che il mio percorso – e quindi il mio io – possa essere per loro una scoperta che va oltre il percepito del mio percorso stesso. Conoscere la persona vuol dire anche riuscire a “detronizzarla” e capovolgere ciò che hai solo percepito in precedenza. Il teatro mi ha molto aiutato in questo. Il lavoro dell’attore mi ha cambiato la vita perché ha rafforzato il processo di analisi, osservazione e trasposizione del linguaggio. È quindi un modo sano per lavorare sulla persona.

Per questa ragione consiglio a tutti i manager lezioni di teatro. È un eccellente allenamento per rafforzare le soft skill, la capacità di ascolto e anche la capacità di improvvisare. In particolare, quando parlo di improvvisazione, mi riferisco alla naturale capacità di leggere costantemente il cambiamento per anticipare le soluzioni. Per un manager questo è fondamentale. Giocare a fare l’attore aiuta a scrivere, a vedere un futuro diverso, aiuta l’accettazione e a conoscersi bene perché l’esigenza di raccontarsi (fare l’attore è anche questo) impone di studiarti bene.

In passato ho lavorato anche con i giovani delle scuole medie.  Mi piaceva perché i giovani/bambini entrano a scuola bambini e ne escono consumer e riuscire ad attivare il pensiero critico aiuta a stimolare una visione diversa e più obiettiva del mondo. All’epoca la cara amica Mapelli (docente all’ISEF) animava un Centro Sportivo CSI a Varese e chiede a me e alla mia compagna Lara di sperimentare corsi di teatro e danza per chi non aveva la possibilità economica - poiché sono notoriamente costosi. È stata una esperienza fantastica e oggi molti di quei giovani sono personalità, sono artisti nella loro scelta di vita e professionale (che quasi mai è l’attore). Di questo siamo orgogliosi. Il nostro piccolo contributo lo abbiamo dato e continuerò a darlo perché restituire è bello. 

 

C’è una pubblicità di cui tu sei la voce parlante che ironizza, in modo molto efficace, con un certo mondo manageriale che usa termini inglesi senza conoscerne il significato. Tu, che hai anche esperienza diretta con i manager del mondo dello spettacolo – e non solo - raccontami un po’ quali sono a tuo parere i limiti dei manager italiani oggi?
 

Come sai adoro interpretare il mondo dei manager perché tutto sommato è una figura cardine di una relazione di gruppo. È come nella commedia dell’arte: ognuno ha un ruolo come il capitano (o lo Zanni, il servo che non ha voglia di fare niente...) nei testi di Goldoni. Questo esiste anche oggi nelle aziende. 

Nel 2013, quando ho iniziato a raccontare dei manager, era già molto interessante perché si poteva ironizzare sul machismo che imperversava, ci si misurava sulla lunghezza del fatturato e gli illuminati sulla grandezza del margine… Oggi, è molto più divertente perché le gamma di follia si è ampliata. Prendi l’HR era il Sig. Direttore del Personale che entrava accompagnato dalla musica dello squalo… Oggi è tutto cambiato ed è bizzarra l’inversione dei ruoli: per favore rimani con noi, non fare great resignation, non tornare a vivere dai tuoi… oppure ritorna a seconda dei casi. È una conflittualità molto divertente perché i manager che sentono l’esigenza di essere contemporanei non possono pensare di essere il Duca Visconti che entra nel Castello Sforzesco. Oggi chi decide di venire a lavorare con te lo fa perché tendenzialmente lo fai stare bene. Questo concetto è ancora più forte se si pensa alla distanza tra privato e pubblico; molte aziende fanno più delle famiglie, ci sono responsabilità collettive in seno a progetti aziendali fantastici che purtroppo le pubbliche amministrazioni spesso non hanno. In questo il volano è certamente la competizione se vuoi dialogare ed essere al passo con i tempi.

Dunque, è quando percepisco un conflitto socialmente rilevante che per me diventa molto divertente raccontarlo attraverso l’osservazione. 

 

I frequentatori di San Siro ti conoscono e ti amano visto che sei lo speaker ufficiale del Milan da oltre 20 anni. Si tratta di un impegno “milanese” e non solo “milanista”. San Siro è infatti lo stadio dei milanesi. Oltre San Siro quali sono gli aspetti che maggiormente e “realmente” ami di Milano?
 

Spesso lo dico: la mia voce è del Milan, la mia faccia del milanese imbruttito, il mio corpo della mia compagna. Solo il pensiero e i sogni sono ancora i miei. È un dono quello che mi è successo. 

Ti racconto come sono diventato lo speaker del Milan.

Nel 2000 lavoravo per RDS, ero il frontman degli eventi. La radio realizza una partnership con il Milan. All’epoca a RDS c’era Riccardo Baita che si occupava del progetto mentre per il Milan c’era la mitica Laura Masi, direttrice marketing. Laura era una grande donna visionaria; pensa che nella prima riunione ufficiale dopo ore e ore nelle quali nessuno capiva niente e diceva la sua lei arrivò e disse: se la signora Maria arriva alle cinque all’evento cosa capisce? Insomma, ci diede una lezione di grande concretezza.

All’epoca facevo animazione nei villaggi, animavo tornei giovanili di calcio, spingevo molto sulla intelligente ironia di chi fa teatro e cabaret nei border line; insomma ero posizionabile in più caselle. Lei, vedendomi lavorare, mi chiese prima di collaborare con il Milan e poi, con una visione molto strategica, di creare una partnership evolutiva, concreta anche nella valorizzazione dello scambio, rafforzando il valore tra intrattenimento e sport. Io, dunque, ero al posto giusto nel momento giusto e questo è avvenuto non per caso, ma perché avevo costruito altre cose prima.

Ricordiamoci sempre che il posto giusto non è a caso e il momento giusto è h 24, 7 su 7 e 365 giorni l’anno. Il successo arriva per caso ma non è mai causale perché se ti fermi ad analizzarlo capisci perché è arrivato. Sono cresciuto con la convinzione di voler diventare bravo e questo mi ha aiutato. Se hai talento devi imparare a sfruttarlo e occorre grande disciplina perché talvolta solo il talento non è sufficiente. Don Gino Rigoldi mi dice sempre: quando hai qualcosa da dire non è gratis…devi prima vivere per poterla raccontare.

Decido quindi di fare qualcosa in più allo stadio. Di certo un po' di fortuna come vedi c’è stata perché mi sono trovato al posto giusto al momento giusto…ma come dicevo prima il posto giusto non è a caso.

Voglio però aggiungerti un’altra storia. Era il Capodanno del 1999, all’epoca avevo 34 anni. Per tutta la mia generazione quel Capodanno era una data storica un po' come dire: quando parti al militare, quando ti sposi e cosa farai al Capodanno del 2000?

Tutti i DJ in Italia avevano una serata in quel Capodanno. Io invece mi trovavo per RDS a Roma per la prima maratona dell’anno per la radio partner dell’evento. La sera di fine anno RDS chiude l’accordo con Canale 5 per la diretta del Capodanno in piazza Duomo e mi dicono: devi venire… allora io chiedo “e perché io?” Candidamente mi rispondono perché sei l’unico che non ha serate.  Esaltatissimo parto e vado a condurre il Capodanno. Ebbene il 10-9 -8-7-6 ... che ha dato il benvenuto al 2000 con 100 mila persone in piazza Duomo, l’ho fatto io. Questo per dirti che evidentemente ho rotto talmente tanto le scatole alla Madonnina che ha deciso di cacciarmi all’inferno e per i milanesi l’infermo è San Siro…

Questa è la mia visione mitologica della mia avventura… Fu un grande onore da milenese.

Adoro Milano perché è una città che ha l’attitudine al cambiamento. La nostra città è circolare; non a caso a Milano “pirlare” vuol dire circolare. Ciò che occorre però e ancora manca è una maggiore attenzione, accettazione e valorizzazione delle periferie. 

Siamo generosi e, come diceva Giuanin D’Anzi “vegnì su senza paura, num ve songaremm la man….”. 

Milano è una città che non può vivere sugli allori del proprio passato perché da sempre ha anticipato il resto del Paese sul presente, perché vuole cambiare. Una città che non vuole cambiare è una città destinata a diventare il ricordo di chi ha vissuto gli anni migliori e molti sono gli anni peggiori di chi ti ascolta mentre tu glieli racconti.


 

Autore: Maria Rosaria Brunetti, 8 giugno 2023

loading

Loading ...